Nel 1963 Sir Colin Buchanan in Traffic in Town aveva individuato il modello di mobilità di Venezia, basato sulla separazione del traffico pedonale da quello motorizzato, come un esempio a cui guardare come rimedio all’uso di massa dell’automobile,diventata elemento di degrado delle città. Quando Buchanan scriveva il suo rapporto Venezia aveva circa 140.000 abitanti, più del doppio degli attuali 58.000, ma comunque meno della popolazione che la abita almeno di giorno, se si considerano i quasi 100.000 turisti che in media la visitano quotidianamente. Il dato complessivo di circa 20 milioni di turisti all’anno mette quindi pesantemente in crisi il modello veneziano di mobilità alternativo alla pervasività dell’auto nell’ambiente urbano.
Notava però Buchanan che i movimenti di merci e persone dentro Venezia dipendono da un ponte stradale e ferroviario che la collega alla terraferma e che gli spostamenti dentro la città sono organizzati da quel chiaro sistema gerarchico di distributori per il traffico veicolare che sono i canali. In più c’è un altro sistema, interamente separato, estremamente complesso, e continuativamente collegato, di percorsi e vicoli pedonali, con una lunghezza totale di circa 140 chilometri. I percorsi sono punteggiati a intervalli da piazze, attorno alle quali si raggruppa ciascuna sezione della città. Le piazza sono, ancora, i luoghi principali di incontro pubblico, attività, scambi e commerci. Lungo questa rete di percorsi si crea uno splendido ambiente urbano pedonale.
Il problema tuttavia è che arrivo e partenza dei flussi pedonali sono concentrati in due punti che distano due minuti a piedi l’uno dall’altro: la stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia e quella degli autobus (con annesso parcheggio) di Piazzale Roma. Da lì i visitatori, imboccata la Lista di Spagna o attraversato lo storico ponte degli Scalzi – tendono a seguire la folla per evitare di trovarsi completamente disorientati in un labirinto di stradine, ponti e vicoli ciechi. La costruzione nel 2008 del ponte della Costituzione – il quarto sul Canal Grande progettato da Santiago Calatrava a collegamento tra Piazzale Roma e la stazione – ha contribuito a ridisegnare la distribuzione dei flussi pedonali, creando ulteriore congestione lungo alcuni percorsi mentre altri settori della città restano isolati e soffrono una desertificazione economica.
Per arginare l’emorragia di popolazione di Venezia – che da luogo di sogno di giorno si trasforma in città fantasma di notte avendo dal 1950 ha perso oltre due terzi dei suoi abitanti, assorbiti dalla terraferma e dalle sue migliori condizioni di vita – chi amministra la città sta da tempo pensando ad una strategia di “deturistizzazione”. Ma trasformare Venezia in un museo a cielo aperto ad accesso controllato può davvero essere una strategia salutare per la città? L’analisi dei dati censuari dimostra che la maggior parte del reddito dei suoi abitanti proviene dai servizi turistici. Insomma la riduzione del numero dei turisti avrebbe bisogno di essere parte di una strategia globale che prenda in considerazione di sostituire il turismo con le altre attività economiche e di prevedere un migliore accesso al mercato immobiliare da parte dei residenti. In caso contrario questo approccio potrebbe finire per ridurre ulteriormente le opportunità economiche, rafforzando così la tendenza alla migrazione verso la terraferma. Lo scenario peggiore è la completa “disneyficazione” di Venezia, patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO che rischia di essere privato dei suoi abitanti.
Può allora un ripensamento della mobilità e una riprogettazione dei percorsi pedonali essere la chiave per alleviare la congestione turistica, riattivare le zone abbandonate e riscoprire la ricca offerta culturale di Venezia? Il comune di Venezia sta lavorando ad un sistema di terminali in grado di gestire i flussi di pedoni diversificandone l’accesso in due nuovi punti di entrata a Tessera e San Basilio. Ma queste soluzioni rimangono inefficaci in un contesto di responsabilità istituzionali frammentate e di forte pressione dell’economia turistica. La città ha bisogno di una soluzione intelligente che comprenda le sue esigenze e che attivi un dialogo con gli attori che vi operano.
Un gruppo di professionisti appartenenti all’associazione Urbego e di studenti dello IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia), in collaborazione con il fornitore dei sensori Blip, ha deciso di affrontare la questione valutando il modello di mobilità pedonale di Venezia. I ricercatori hanno monitorato i movimenti dei pedoni, in termini di frequenza e di indicazioni da e per la stazione e Piazzale Roma, attraverso una rete WiFi e di sensori Bluetooth, con l’obiettivo di valutarne l’esperienza, i comportamenti e i suggerimenti. I dati hanno fornito la base per la creazione di una nuova strategia di decongestionamento ed hanno indicato i modi per migliorare l’orientamento di chi esplora la città. Tuttavia, nonostante le sue ambizioni, la visione di Venezia Smart City pone la difficile questione di come applicare l’agenda globale delle città intelligenti in un contesto urbano molto particolare attraverso un processo collaborativo basato sulle persone. Per confrontarsi con la complessità di Venezia – e superare la debolezza politica del suo governo – i cittadini, le istituzioni e i turisti dovrebbero collaborare alla pianificazione delle future strategie per la mobilità pedonale. Si tratta di rendere la vita di chi abita e fruisce di un luogo in grado di produrre enormi flussi di persone e di denaro un po’ più facile rispetto a quanto non sia ora. Ma ce la faranno i pedoni che con i loro spostamenti ogni giorno soffocano Venezia e spingono fuori dalla laguna i suoi abitanti a salvarla dai problemi che loro stessi generano? Difficile dirlo, certo è che rendere più intelligenti i flussi pedonali dentro questo spazio urbano unico al mondo male non fa.
Riferimenti
F. Makki, Can smart mobility planning prevent the “Disneyfication” of Venice?, CityMetric, 14 ottobre 2015.
Qui una traduzione dei brani del rapporto Buchanan riguardanti Venezia pubblicata da Eddyburg il 21 agosto 2005.