La scorsa settimana sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia ha pubblicato una sferzante denuncia del degrado nei centri storici e delle sue cause intitolata La bellezza perduta nelle nostre città (1), nel quale addita come responsabili le amministrazioni locali che tralasciano di tutelare il bene comune, preoccupandosi invece di mantenere il consenso senza disturbare le piccole rendite parassitarie locali che lo sfruttamento turistico porta spesso con sé.
I centri storici delle città italiane sono parte essenziale di quel patrimonio identitario nazionale che Galli della Loggia stesso lucidamente evidenziava nel suo libro L’identità italiana (2). Un patrimonio culturale che tanti ci riconoscono e invidiano anche all’estero, e che anzi ci ricordano come esempio non solo per i meriti estetici e culturali ma anche come testimonianza di un periodo storico passato dove il ruolo della città e l’aspra competizione tra esse era motore di innovazione e crescita, come ha evidenziato qualche anno fa Marcia Christoff Kurapovna sulle colonne del Wall Street Journal (3). Le piazze, le strade, gli spazi urbani dei centri storici delle nostre città, sono parte di un bene comune di altissimo valore, quindi non commerciabile, riferibile non solo alla comunità locale, ma ad una più ampia comunità che potremmo definire di area vasta, cioè nazionale o addirittura internazionale, come testimonia il fatto che alcuni dei nostri centri storici sono nell’elenco dei siti patrimonio dell’umanità di Unesco.
Se i centri storici sono patrimonio di area vasta, le amministrazioni locali non sono i soggetti più adatti a garantirne una sufficiente salvaguardia. Il turismo di massa, sui nostri centri storici, e ancora di più su piccoli borghi antichi, può avere impatti devastanti. Per fronteggiarli è necessaria un’amministrazione che sia in grado di occuparsene facendo prevalere l’interesse generale, essendo sufficientemente staccata e autonoma rispetto agli interessi locali.
Galli della Loggia suggerisce di affidarsi alle Soprintendenze del Ministero dei Beni Culturali, che certo sono generalmente un po’ più autonome dagli interessi locali, ma è anche noto come siano inadeguate per carenze di organico ed estrema lentezza nell’azione. L’operato dei comuni potrebbe essere posto sotto il controllo dell’ente che, secondo i principi Costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza, è preposto ad affrontare i temi sovracomunali visto che come sopra detto i centri storici sono beni di rilevanza sovracomunale. Si tratta della provincia, o area vasta come si chiamerà a seguito della riforma Costituzionale.
Il caso dei centri storici mostra, contrariamente a quanti pensano che l’ente intermedio di governo possa essere del tutto eliminato, che i problemi di area vasta esistono e che non possono essere affrontati in modo adeguato dal livello comunale. Essi non riguardano solo temi noti e già da molti anni assegnati alle province, come la manutenzione della rete stradale, degli edifici scolastici, ma anche aspetti locali, come i centri storici dei comuni, che fino ad oggi sono stati considerati come problema urbano e quindi lasciati all’iniziativa delle amministrazioni comunali, troppo inclini a privilegiare i piccoli interessi locali, pur trattandosi invece di beni di rilevanza sovracomunale, e nel caso di centri storici di pregio, anche nazionale e internazionale.
Riferimenti
(1) Ernesto Galli della Loggia, La bellezza perduta nelle nostre città, Corriere della Sera, 16 ottobre 2016.
(2) Ernesto Galli della Loggia, L’identità italiana, Il Mulino, Bologna, 1998.
(3) Marcia Christoff Kurapovna, The Case for the City-State, Wall Street Journal, 12 luglio 2012. Un sunto in italiano dell’articolo è riportato sul Corriere della Sera del 14 luglio 2012.