La Legge 56/2014, nota come Riforma Delrio, istituisce le città metropolitane facendole coincidere con i perimetri delle precedenti province. Pensati in altra epoca e per altri fini i territori provinciali non corrispondono alla dimensione reale degli odierni sistemi metropolitani (1). Alcuni sono molto più ampi del sistema metropolitano di riferimento, mentre in altri casi sono questi ad essere più ampi dei confini amministrativi delle città metropolitane. Appartengono per esempio al primo caso Torino, che con i suoi 300 comuni arriva fino alle più alte cime delle Alpi, o anche Genova, per la zona del Tigullio o per le aree dell’entroterra appenninico, alcune maggiormente rivolte verso la Pianura Padana.
La legge Delrio con il voto ponderato assegna nelle province un rilievo maggiore ai comuni con più popolazione, senza tuttavia inibire al sindaco di un comune piccolo la possibilità di divenire Presidente della Provincia. Cosa che in effetti si è verificata in diversi casi già nella prima tornata elettorale. Nelle città metropolitane invece il potere è per legge fortemente accentrato sul comune capoluogo, rispetto al quale tutti gli altri si trovano in posizione subalterna. Vero è che negli statuti dei nuovi enti è in taluni casi stato previsto il passaggio ad un sistema ad elezione diretta, ma i comuni capoluogo non sembrano avere fretta di dare attuazione a questa decisione.
L’impostazione più centralista e gerarchica prevista dalla legge per la città metropolitana potrebbe almeno in via teorica essere più idonea per il governo delle parti di territorio che sono in più stretta relazione funzionale con il comune capoluogo, che vivono con questo in stretta simbiosi, tanto da condividerne servizi a rete essenziali come il trasporto pubblico, l’acquedotto, i depuratori, la raccolta rifiuti, ecc. Gli altri comuni, più distanti e distaccati, e quindi più autonomi e meno dipendenti dal capoluogo per la loro sopravvivenza, intrattengono rapporti di pari intensità anche con i territori di province confinanti (o aree vaste, come si chiameranno). Per esempio entro i confini amministrativi della Città metropolitana di Firenze il sistema metropolitano appare monco, mancando tutta la parte di pianura che arriva fino a Prato, verso la quale non vi è soluzione di continuità nell’edificato. Vi sono invece all’interno dei confini amministrativi ampi territori, lontani da Firenze, che sono esterni al sistema metropolitano e che potrebbero forse più coerentemente e convenientemente essere aggregati alle province (o aree vaste) confinanti.
Nel caso di Milano il sistema metropolitano è invece in ogni direzione molto più ampio dei confini amministrativi della Città metropolitana, la quale rischia di non essere un riferimento adeguato per governare efficacemente un sistema molto più ampio, che, come evidenziato dall’OCSE nel 2006 (Figura 1), o dal recente rapporto Redifining Global Cities (2), il quale, includendo nel calcolo la popolazione di intere province confinanti, attribuisce al sistema metropolitano di Miano una popolazione di 7,7 milioni di abitanti contro i 3,2 della Città Metropolitana individuata dalla Riforma Delrio. Come ovviare al problema?
Appare poco realistico pensare di ampliare i confini della Città metropolitana fino ad includere un territorio metropolitano che coprirebbe la maggiore parte di quello regionale. Più sensato potrebbe essere affrontare la particolarità del sistema metropolitano Milanese attraverso forme di governance innovative, quindi mediante tavoli di lavoro, intese, accordi, supportate da strutture tecniche dedicate se necessario. Si potrebbero così coordinare le decisioni più importanti, mettendo attorno al tavolo, in una sorta di sistema federato, la Città metropolitana e tutti i comuni appartenenti alle polarità urbane esterne che fanno parte del sistema metropolitano.
Questo approccio non esclude comunque la possibilità di apportare locali modifiche ai confini ove ve ne sia l’opportunità. Si pensi per esempio alla direttrice verso il Sempione e l’Aeroporto di Malpensa, o verso l’area di Saronno, o per valutare alcune richieste già avanzate di adesione come quella del Comune di Vigevano. O anche per valutare in modo più ampio un accorpamento della Brianza.
Risultati efficaci si potrebbero ottenere anche con un approccio solo apparentemente opposto, che trae spunto dall’impostazione più centralista che la legge prevede per le città metropolitane. Guardando una foto aerea tratta da Google maps (Figura 2) si nota che entro i confini della Città metropolitana esiste una parte centrale conurbata, costituita dal Comune di Milano e da circa 25 comuni di cintura. Questa parte è anche riconosciuta dal PTCP di Milano del 2013 che la denomina Città Centrale; include comuni che vivono in simbiosi con il capoluogo, senza soluzione di continuità nell’edificato, ma anche nei servizi e nei trasporti. I confini della Città metropolitana potrebbero essere ricondotti a questo nucleo centrale, definendo regole di cooperazione più forti, motivate dalla simbiosi in cui tutti questi comuni convivono nello stesso organismo urbano. I restanti territori potrebbero essere aggregati alle province, o aree vaste, confinanti, prevedendo un tavolo di governance, o sistema federato, analogo a quello sopra descritto per coinvolgere le polarità urbane che costituiscono il sistema metropolitano.
Nessuna delle due alternative è semplice da perseguire. Tuttavia si deve decidere e agire, è necessario superare la situazione di stallo in cui si trova oggi il nuovo ente. I confini della Città metropolitana di Milano sono troppo grandi rispetto alla Città Centrale, ma allo stesso tempo anche troppo piccoli rispetto al sistema metropolitano. Si tratta di una situazione particolare, che non può essere affrontata con i normali strumenti negoziali che le norme nazionali e regionali mettono a disposizione.
Se il referendum confermerà le modifiche alla Costituzione, la Regione avrà il compito di ripensare le province organizzandole in aree vaste. Il ragionamento riorganizzativo non dovrà lasciare fuori la Città metropolitana, anche se ogni modifica che la riguarda, sia sui confini che sulle regole di voto e sui principi base di funzionamento, deve passare per una legge del Parlamento (2). Potrebbe essere occasione per sollecitare una legge apposita che tenga conto delle caratteristiche uniche del Sistema metropolitano Milanese.
Riferimenti
- In un precedente intervento su Millennio Urbano del 7.9.2016 il tema dell’adeguatezza di dimensione era stato approfondito con riferimento ai livelli comunale, provinciale e regionale.
- Brookings Intitution Metropolitan Policy Program, Redifining Global Cities,2016.
- Le città metropolitane sono enti previsti dalla Costituzione (art 117), anche nel testo nuovo sottoposto al referendum, e la modifica dei loro confini, anche se di iniziativa regionale in termini di proposta, può essere approvata solo con apposita legge di competenza del Parlamento.