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Territorio

Pianificazione di area vasta: come orientarsi dopo il referendum? (II)

Parte seconda*

Tra conformazione della proprietà e tutela dei beni comuni

Il buon governo del territorio esige di trattare i piani nei diversi livelli istituzionali come strumenti tra loro integrati, non come entità separate a sé stanti. Ma richiede anche di mantenere una chiara distinzione tra la funzione di pianificazione urbanistica ed edilizia comunale e la funzione di pianificazione territoriale di livello sovracomunale, evitando di fonderle in un tutt’uno indistinto.

Nel furore per la semplificazione, che domina oggi le agende politiche di qualunque colore, separazione e distinzione rischiano di essere assunte come sinonimi. La stessa Legge Delrio ne fornisce esempio, facendo passare la credenza che una semplificazione possa in modo naturale derivare dalla riduzione dei livelli di governo da 4 a 3. Non tiene così conto che annullando il livello intermedio (la provincia), che è snodo e collegamento tra i livelli regionale e comunale, il risultato potrebbero essere opposto, di maggiore complessità e confusione. La semplificazione non consegue dalla mera riduzione del numero dei livelli di governo, bensì dalla realizzazione di processi decisionali più lineari, determinabili nei tempi, chiari e affidabili nello svolgimento e negli esiti. Potrebbe anche in parte derivare dalla riduzione del numero di livelli istituzionali, ma il livello da cancellare dovrebbe essere scelto con attenzione. In ogni caso risultati molto più incisivi si otterrebbero con la riorganizzazione delle modalità di raccordo tra i livelli esistenti, e l’accorpamento degli enti che sono troppo piccoli e inadeguati per svolgere le funzioni fondamentali previste dalle leggi.

La riforma della costituzione non si è completata, ma la Legge Delrio, con l’inserimento degli amministratori comunali negli organi della provincia e della città metropolitana, ha portato molto avanti il processo, probabilmente oltre il punto di non ritorno, con il concreto rischio di annichilire il livello intermedio, fagocitato da quello comunale. La riforma è coerente con una provincia destinata ad ampliare la propria funzione di servizio di supporto tecnico e amministrativo dei comuni, come in effetti la legge auspica, ma per la quale non prevede adeguati strumenti attuativi. Le province sono tuttavia chiamate a svolgere anche funzioni di area vasta, come la pianificazione territoriale di coordinamento, che necessitano di un adeguato grado di autonomia rispetto agli interessi locali.

Il comune deve partecipare alla pianificazione territoriale sovracomunale, è un diritto ma anche un dovere, non può sottrarsi all’obbligo di contribuire al raggiungimento degli obiettivi sovracomunali (1). Agendo all’interno degli organi della provincia la partecipazione è ancora più diretta, e in via teorica più efficace se si riesce ad evitare di cortocircuitare e bruciare ogni distinzione tra comunale e sovracomunale. E’ necessario a tale fine comprendere bene come il sovracomunale si caratterizzi, quali siano gli aspetti distintivi rispetto al comunale. Una possibile strada potrebbe partire dal ragionare sulle diverse competenze, e dal riscontro che queste potrebbero trovare nell’organizzazione dello spazio geografico. Vediamo come nelle righe che seguono.

Grazie alle direttive internazionali, e anche al dibattito di questi anni sul consumo di suolo, alcune delle norme più recenti hanno iniziato a riconoscere e considerare il suolo tra i beni comuni. Lo stesso diritto amministrativo si sta evolvendo; accanto alla conformazione dei beni privati sta recentemente acquisendo sempre più riconoscimento la funzione sociale della proprietà di cui all’art 42 Cost. e quindi la tutela dei beni comuni (2).

Passando alla disciplina di pianificazione, anche qui sta sempre più emergendo una distinzione, tra conformazione degli usi del suolo e consumo della risorsa suolo, dove quest’ultimo è tema sovracomunale, da regolare nei piani di area vasta per garantirne una visione unitaria. Il consumo di una risorsa scarsa e non rinnovabile interessa la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, competenza esclusiva dello Stato (art 117 Cost. c. 2, lett. s). Alcuni dei piani territoriali provinciali più innovativi (3) non si limitano a regolare il solo consumo di suolo, ma lo inquadrano in una più generale strategia di contenimento del consumo di risorse scarse e non rinnovabili, tra le quali: l’acqua, l’energia da fonti fossili, la qualità dell’aria. Dove non esistono norme nazionali e regionali i riferimenti per limitare i consumi possono essere trovati nelle convenzioni internazionali. In alcune regioni le norme hanno inoltre messo in evidenza che anche la tutela del comparto produttivo agricolo richiede una visione unitaria sovracomunale, propria degli strumenti di area vasta.

La distinzione introdotta in queste righe potrebbe avere un parallelo e speculare riscontro nello spazio geografico, dove in modo più diretto possono intervenire gli strumenti di pianificazione territoriale. La legge urbanistica nazionale del 1942 all’articolo 7 afferma che il piano regolatore generale del comune, ente esponenziale della propria comunità, deve interessare la totalità del territorio amministrato, per rappresentare e contemperare in modo organico tutti gli interessi, sia privati che pubblici. Tuttavia in alcuni casi la discrezionalità decisoria del singolo comune può comportare effetti rilevanti sui comuni confinanti o sul più ampio ambito di area vasta. Pur senza venire meno a quanto afferma l’articolo 7 della LUN, la discrezionalità del singolo comune deve, quando necessario, essere armonicamente rapportata con analoghi interessi delle altre comunità territoriali (4).

Recentemente alcune norme regionali hanno delineato una modalità operativa per risolvere queste potenziali situazioni di conflitto, che è basata sul disegno del perimetro del tessuto urbanizzato e sulla definizione di due distinti regimi di intervento dentro e fuori tale perimetro. All’interno ha priorità la competenza urbanistica comunale, anche se non in via assoluta, in quanto taluni interventi di recupero e rigenerazione urbana possono avere effetti sovracomunali. All’esterno del perimetro la competenza comunale deve essere contemperata in modo equilibrato con gli interessi sovracomunali afferenti alla pianificazione di area vasta. Un eccessivo schematismo va ovviamente evitato: la distinzione non deve, come già detto, diventare separazione. Al comune non può essere sottratta la possibilità di intervenire sull’intero suo territorio, ma allo stesso tempo all’esterno del perimetro priorità potrebbe essere data a quegli aspetti tematici che necessitano di una visione unitaria, di area vasta, come quelli ambientali e agricoli. In aree ad intensa urbanizzazione, dove le interazioni reciproche tra comuni sono molto più intense, la priorità potrebbe essere ampliata anche ad altri temi, infrastrutturali e insediadiativi. Nella legge Toscana sul governo del territorio (LR 65-2014, articolo 25), e in alcuni dei piani provinciali più innovativi, il consumo della risorsa suolo esterna al perimetro viene considerato come eccezione, che il comune deve motivare adeguatamente, in apposita conferenza di copianificazione con gli enti di area vasta e i comuni limitrofi, a fronte di esigenze che non possono essere soddisfatte da interventi rigenerativi interni al perimetro. Soluzioni analoghe sembrano gradualmente guadagnare credito anche nelle più recenti proposte di modifica alle norme sul governo di territorio di altre regioni, come la Lombardia e l’Emilia-Romagna.

Le modalità sopra descritte di tutela degli aspetti sovracomunali derivano da ragionamenti maturati nelle discipline del diritto e dell’urbanistica, ma possono trovare utile applicazione all’interno delle nuove province e delle città metropolitane. Mantenere una chiara distinzione tra comunale e sovracomunale è essenziale per il buon funzionamento degli organi dell’ente intermedio, dove le decisioni discrezionali degli amministratori comunali potrebbero interferire con le questioni di area vasta. Rimane da capire, ma ci torneremo sopra presto, come la struttura provinciale possa essere riorganizzata per mantenere viva ed efficace questa distinzione nell’operatività quotidiana.

 

(parte 2, continua)

 

*La prima parte è stata pubblicata su Millennio urbano in data 11 febbraio 2017.

Note

  1. Il concetto è desumibile dall’art 19 c.1 della Legge 135/2012 relativo alle funzioni fondamentali dei comuni dove alla lettera d) si legge: “la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla Pianificazione territoriale di livello sovracomunale”.
  2. Sono ormai numerosi gli scritti sul tema. Per un inquadramento complessivo si citano gli scritti di: Paolo Urbani, “A proposito della riduzione del consumo di suolo”, marzo 2016, e Emanuele Boscolo, “Beni comuni e consumo di suolo: alla ricerca di una disciplina legislativa” in P.Urbani (a cura di) Politiche urbanistiche e gestione del territorio tra esigenze del mercato e coesione sociale, Giappichelli 2015, entrambe disponibili e scaricabili dal sito pausania.it
  3. Si veda ad esempio la normativa di attuazione del PTCP della Provincia di Pavia, approvato ad aprile 2015, agli articoli IV-1, 2, 3 per la regolazione del consumo di suolo e agli articoli da II-1 a II-5 per la regolazione dell’utilizzo delle risorse.
  4. Sono significativi gli orientamenti espressi dal Consiglio di Stato, per esempio nel caso del PRG di Cortina (sentenza n. 2710 del 10 maggio 2012), dove chiarisce come la pianificazione urbanistica comunale non sia limitata alla sola disciplina degli usi edificatori, ma debba anche realizzare finalità più generali, economiche, sociali, e di tutela, per la comunità.