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Mulino Bianco way of life

mulino bianco

La stampa italiana, da sempre in ritardo e poco preparata sulle questioni dello sviluppo delle città e del territorio,   non ha colto il nesso che esiste tra la difesa della famiglia tradizionale,  che secondo  Guido Barilla è il punto di riferimento della comunicazione pubblicitaria del gruppo che presiede,  e la crisi del Mulino Bianco way of life . Eppure sono due facce della stessa medaglia.

Nel modello di famiglia  basato sull’unione eterosessuale e sul lavoro di cura svolto dalla donna, non solo si rispecchia l’arretratezza della società italiana, si annida anche un altro aspetto, pochissimo evidenziato proprio per effetto del ritardo culturale del  paese, che fa riferimento al territorio ed al suo sviluppo.  Il sogno della casa in campagna, lontano dagli elementi corruttori della città sulla salute e la morale,  è ancora estremamente presente nella società italiana ed ha un sua concreta ricaduta nel fenomeno comunemente denominato con le espressioni consumo di suolo e cementificazione,  con le quali s’intende indicare la dispersione insediativa.  Complice la motorizzazione individuale di massa, a tutti è stata data la possibilità di trovare sul mercato immobiliare una casa immersa nel verde a 10 minuti d’auto dalla città. In molti si sono fatti sedurre da simili messaggi pubblicitari, anche perchè i prezzi della cosiddetta campagna sono inevitabilmente più bassi di quelli della città. Salvo poi scoprire che sul prato che fa da sfondo alla finestra del soggiorno fra non molto sorgerà un’altra bella fila di villette uguali a quelle in cui sono andati a vivere. E allora addio campagna e non si pensi di mettersi in salvo dal fenomeno optando per una porzione di qualche bella casa rurale ristrutturata, tanto prima poi anche lì ci arriva la città, sotto forma di  nuova strada/centro commerciale/villettopoli.

Molti dei seguaci del Mulino Bianco way of life si sono tramutati in difensori del territorio ed in battaglieri oppositori del consumo di suolo e della cementificazione, forse un po’ presi dalla sindrome N.I.M.B.Y., (Not In My Back Yard),  o un po’ convinti di aver sbagliato ad abbandonare la città, dalla quale dipendono per moltissimi servizi e per i posti di lavoro, che poi alla fine è arrivata dove credevano che ci  fosse la campagna. Forse, nel frattempo, anche la loro famiglia tradizionale è sparita per effetto elle separazioni, in questi anni molto più frequenti dei matrimoni, e magari  qualcuno si è reso conto che è meglio vivere vicino ai servizi urbani per la gestione dei figli,  soprattutto se si è genitori separati.

La dichiarazione radiofonica di Guido Barilla a favore del modello di famiglia tradizionale  non fa quindi i conti con la crisi del modello abitativo che il suo gruppo ha contribuito a propagandare e che non attira più i nuclei famigliari di nuova formazione. L’estrema flessibilità della condizione esistenziale delle  nuove generazioni mal si concilia con il vecchio sogno domestico, quello della canzoncina che nel 1939 metteva in relazione una condizione economicamente stabile con la casettina in periferia e la mogliettina giovane e carina.

Forse è il caso che anche gli imprenditori si accorgano di quanto sia cambiata la società italiana, da allora.

 

Di Michela Barzi

Laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Si è occupata di pianificazione territoriale ed urbanistica per vari enti locali. Ha pubblicato numerosi contributi sui temi della città, del territorio e dell'ambiente costruito in generale e collaborato con istituti di ricerca e università. Ha curato un'antologia di scritti di Jane Jacobs di prossima pubblicazione presso Elèuthera. E' direttrice e autrice di Millennio Urbano e scrive per altre riviste.

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