Si è parlato molto in questi giorni di Mani Pulite, ricorrendo il trentennale dal primo arresto che ha aperto quella stagione (il 17 febbraio 1992). Abbondano i commenti sulle testate giornalistiche. Chi dice che è stata una rivoluzione, chi dice che non è cambiato nulla.
Ero appena trentenne al tempo e come per molti miei coetanei quella stagione aveva acceso grandi speranze, di potere cambiare questo Paese, migliorandone finalmente le istituzioni, introducendo criteri più meritocratici, superando logiche di rendita e di clientelismo. Mani Pulite ha in effetti smosso parecchio le acque, ha realmente provocato un cambiamento (o un possibile cambiamento), ma con il tempo i suoi effetti sono stati assorbiti e si è ristabilito l’abituale status quo. Forse la società civile non era ancora matura per questo cambiamento. Forse non lo è neanche adesso, anche se i segnali di insofferenza per la politica fanno sorgere qualche tenue speranza. Se non lo è oggi lo sarà domani, o forse non lo sarà mai?
La stagione più prolifica e innovativa della pianificazione provinciale viene attivata dalla ex-Legge 142/1990, che introduce i Piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP), e di fatto si chiude, o comunque volge verso un rapido declino, a dicembre 2011 con il famoso Decreto Salva Italia del Governo Monti, che introduce l’elezione indiretta degli organi provinciali e avvia il percorso che avrebbe dovuto portare alla cancellazione delle province.
La lungimiranza dimostrata dal legislatore nella ex-Legge 142/1990 non sarebbe probabilmente stata sufficiente ad avviare la stagione di pianificazione provinciale se in quegli anni non ci fossero stati altri importanti cambiamenti. Mi riferisco ad esempio alla Legge 81/1993 che ha introdotto l’elezione diretta di sindaci e presidenti di provincia, e alla Legge 29/1993 che ha separato all’interno degli enti i poteri gestionali da quelli di indirizzo, i primi assegnati alla struttura tecnica dirigenziale, i secondi di competenza degli organi politici.
Certo la spinta decisiva è arrivata dal terremoto politico innescato dalla stagione di Mani Pulite. Con il venire meno dei partiti storici, e quindi degli indirizzi dalle segreterie centrali, gli amministratori locali eletti direttamente diventano più attenti e aperti alle istanze delle comunità. Nuove figure vengono cooptate dalla società civile e dal privato, sia negli organi politici che in quelli tecnici, portando esperienza, competenze e modalità operative fino a quel momento trascurate, quando non addirittura osteggiate, all’interno degli enti. Le province, a seguito dei cambiamenti introdotti dalla ex-Legge 142/1990, si trasformano da enti di settore, principalmente dediti a strade ed edilizia scolastica, a enti esponenziali della propria comunità (2), e si occupano di governo del territorio, con il compito di coordinare la pianificazione dei comuni in coerenza con gli indirizzi programmatici della regione.
Molteplici sono gli effetti positivi della stagione di pianificazione territoriale provinciale. Se ne possono qui ricordare alcuni tra i più significativi.
La predisposizione e condivisione di banche dati di area vasta sui principali temi ambientali e territoriali, alle quali i comuni hanno potuto fare riferimento per meglio inquadrare i propri territori e problemi nel più ampio contesto di area vasta, e per conoscere cosa accade nei comuni confinanti e nei rispettivi piani urbanistici.
L’istituzione di tavoli di lavoro con più comuni per la definizione dei contenuti del PTCP, dove i sindaci sono entrati in contatto e hanno potuto discutere i temi territoriali di interesse comune, e soprattutto ragionare collettivamente di futuro e programmazione urbanistica.
Il supporto ai comuni, particolarmente importante per quelli piccoli e medi, nel portare le problematiche locali all’attenzione della programmazione regionale su temi come le infrastrutture stradali, il trasporto pubblico, gli impianti di rifiuti.
Attraverso l’azione di coordinamento dei piani urbanistici comunali la pianificazione provinciale ha messo al centro dell’attenzione temi come il consumo di suolo, la tutela dei corsi d’acqua, il trasporto pubblico, il paesaggio e le reti ecologiche, ossia quei beni comuni che dovrebbero essere l’oggetto primo di attenzione delle scelte istituzionali e della pianificazione. Ma che hanno generalmente avuto ruolo marginale nella pianificazione urbanistica comunale, troppo occupata e condizionata dagli effetti della rendita fondiaria, incamerata dai privati invece di essere tradotta, come dovrebbe, in un’opportunità per la comunità. Proprio questo dei PTCP ha dato fastidio, lo spostamento dell’attenzione verso il territorio inteso come bene comune.
Viene in mente la famosa prima scena del film di Rosi “Le mani sulla città” che nel 1963 denunciava un sistema di corruzione attuato attraverso l’uso improprio dei piani comunali, e praticato in quasi tutte le città e i comuni italiani. Spiega il protagonista in questa scena che è inutile prendere rischi imprenditoriali e affannarsi quando la semplice trasformazione di un suolo agricolo in edificabile garantisce una rendita dieci e più volte superiore. Dovrebbe a distanza di 60 anni essere visto come un documento storico e invece è ancora tremendamente attuale. Gli stessi meccanismi alimentano oggi un sistema e una mentalità di rendita di posizione diffuse capillarmente e difficili da estirpare.
L’onda lunga dello tsunami innescato da Mani Pulite è durata circa 10-15 anni fino a che gradualmente vecchie modalità e riti della politica hanno ripreso la situazione sotto controllo.
Nel 2005 la Legge 270/2005 (meglio nota come “porcellum”) avvia l’era, destinata a durare ancora molto a lungo, dei parlamentari non più eletti, ma nominati dalle segreterie dei partiti. Con la Legge 56/2014 anche i politici provinciali sono in sostanza stati trasformati da eletti a nominati. Rimangono sindaci e presidenti di regione, ma potrebbe non durare molto. E’ infatti sempre più difficile fare coesistere all’interno degli stessi soggetti politici due modelli elettivi, maggioritario nei comuni e sempre più proporzionale nel Parlamento.
Nel 2005 mi aspettavo che i cittadini scendessero in strada per protestare contro l’esproprio perpetrato con il “porcellum” e invece nessuno si è mosso. Di fronte a un’opinione pubblica distratta la politica continua indisturbata a usurpare i diritti dei cittadini. Anche nel caso più recente delle province, della cancellazione dell’elezione diretta, la gente non ha reagito, anzi ha applaudito, convinta di dare un colpo alla casta da un’abile campagna mediatica di disinformazione. Non c’è quindi da stupirsi se in mancanza di un’adeguata capacità critica e preparazione civile anche la spinta di Mani Pulite ha finito per spegnersi e i suoi effetti essere riassorbiti.
La bocciatura del referendum costituzionale del dicembre 2016 ha bloccato la cancellazione delle province, e la riforma è rimasta a metà, in una situazione di stallo che dura ormai da cinque anni, ma nessuno sembra preoccuparsene.
Le modifiche alla Legge 56/2014 delle quali si sta discutendo in questi mesi a Roma riguardano la reintroduzione delle giunte e altri aspetti organizzativi. Serviranno probabilmente a restituire un po’ di operatività ed efficienza alle province, ma non cambieranno nulla per le funzioni di area vasta e tra queste la pianificazione del territorio. Il governo dei temi di area vasta, e tra questi il coordinamento dei piani comunali, tra i principali compiti del PTCP, richiede una visione di insieme e una certa autonomia e distanza rispetto alle questioni locali comunali, molte condizionate dall’uso privatistico della rendita fondiaria. Dopo la Legge 56/2014 la presenza dei sindaci negli organi provinciali innesca cortocircuiti decisionali e determina situazioni di conflitto di interessi, rischiando in molti casi di coinvolgere anche la pianificazione provinciale nelle questioni di rendita fondiaria.
In un sistema istituzionale sempre più popolato da nominati, che non sono tenuti a rendere conto direttamente agli elettori, viene meno l’attenzione per il buon governo del bene comune. Permane invece vivo l’interesse per i poteri di conformazione degli usi dei suoli della pianificazione urbanistica comunale, alimentato da chi possiede proprietà e risorse economiche.
Di contro a questo andazzo negli ultimi anni la Giurisprudenza è a più riprese intervenuta sulle funzioni di area vasta e sul ruolo essenziale delle province e dei loro strumenti di pianificazione. Si pensi alla Sentenza del 2012 del Consiglio di Stato sul Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di Cortina d’Ampezzo, che per prima ha riconosciuto la necessità di contemperare nella pianificazione urbanistica i fabbisogni della comunità locale con una pluralità di altri interessi che hanno fondamento nella Costituzione, e tra questi quelli della comunità di area vasta, come consumo di suolo, inquinamento atmosferico, difesa idrogeologico, e altri. Oppure si pensi alla Sentenza, sempre del Consiglio di Stato, sul Piano di Governo del Territorio (PGT) del Comune di Segrate che ha chiarito come le disposizioni del PTCP, tutte anche quelle di mero indirizzo, non solo quelle prescrittive, devono essere prese in considerazione della pianificazione comunale, che ha il dovere di contribuire attivamente al raggiungimento degli obiettivi e dei contenuti della pianificazione provinciale (3).
La riforma avviata e in parte realizzata con la Legge 56/2014 è andata molto avanti e a questo punto non è forse più fattibile di tornare indietro fino a reintrodurre per le province l’elezione diretta (4). Non è comunque detto che sia necessario. La stessa Corte Costituzionale aveva con la Sentenza n.50/2015 chiarito che l’autonomia e la rappresentanza non vengono meno in presenza di organi ad elezione indiretta. Tuttavia per dare attuazione concreta a questo indirizzo della Corte è necessario che la Legge 56/2014 sia rivista in modo da evitare cortocircuiti decisionali, creando le condizioni per mantenere distinti i ruoli istituzionali di Amministratore comunale e di Amministratore provinciale, anche nei casi in cui le due cariche insistano sulla stessa persona.
Note:
(1). I temi di questo intervento sono tratti dal più ampio articolo dell’autore “Il percorso della pianificazione territoriale di area vasta”, nota 11-2021 della Fondazione Giandomenico Romagnosi, Pavia, dicembre 2021, disponibile sul sito della Fondazione all’indirizzo web http://www.fondazioneromagnosi.it/sites/default/files/nota_romagnosi_2021-11.pdf
(2). Recita infatti l’articolo 3 comma 3 del D.Lgs 267/2000, Testo unico degli enti locali che ha ripreso le indicazioni per le province contenute nella ex-Legge 142/1990: “La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo”.
(3). Si fa qui riferimento alle Sentenze del Consiglio di Stato n. 2710 del 10.5.2012 per il PRG di Cortina d’Ampezzo (BL) e n. 2921 del 30.6.2016 per il PGT di Segrate (MI).
(4). Il discorso è diverso per le Città metropolitana, dove la legge stessa prevede che l’elezione diretta possa essere prevista nello statuto dei nuovi enti. Peraltro recentemente la Corte Costituzionale ha sollevato con la sentenza n. 240 del 7 dicembre 2021 perplessità sul mantenimento ex lege della carica di Sindaco Metropolitano in capo al Sindaco del Comune capoluogo.