Nel corso del 2016 alcuni comuni di province confinanti fanno sapere, con atti dedicati o attraverso modalità informali, di essere interessati ad entrare nel territorio amministrato dalla Città metropolitana di Milano. La bocciatura del referendum di dicembre ha reso il processo di modifica dei confini più complesso, ma viene da domandarsi guardando alle difficoltà in cui si muovono le città metropolitane (non solo Milano) se convenga realmente ad un comune entrare nella Città metropolitana.
Le province sono rimaste nella Costituzione, e anche se molto alleggerite nelle risorse (sia bilanci che personale) continuano a gestire funzioni importanti. Con gli amministratori comunali negli organi provinciali sono ora rappresentati i territori, più che i gruppi politici, e per via del voto pesato ponderalmente sugli abitanti sono il comune capoluogo e i comuni più grandi a contare veramente. Tuttavia anche i piccoli possono farsi sentire se riescono tra loro ad aggregarsi secondo alleanze territoriali.
Nelle città metropolitane invece il doppio incarico del Sindaco, imposto dalla legge, colloca il comune capoluogo in una situazione di assoluto dominio, ben diversa da quella primus inter pares del comune capoluogo negli organi delle province. Alcuni comuni di confine sono attratti dal passaggio alla città metropolitana immaginando facilitazioni nell’accesso a finanziamenti nazionali ed europei, che però saranno in gran parte intercettati dal Comune capoluogo e destinati ai propri cittadini.
Dopo un primo momento di disorientamento, successivo all’approvazione della Legge Delrio, i Sindaci delle città metropolitane, anche quelle dove lo statuto ha previsto l’elezione diretta, hanno cominciato ad apprezzare il potere che deriva loro dal doppio incarico, e difficilmente se ne priveranno, o permetteranno al legislatore nazionale di sottrarglielo. Dispongono di fatto di un territorio molto più ampio, oltre i confini amministrativi, da utilizzare per soddisfare i bisogni dei propri cittadini elettori andando a scaricare gli effetti indesiderati sui cittadini di altri comuni, e sui relativi Sindaci, ai quali quei cittadini rivolgeranno le proprie lamentele. Dispongono inoltre di un potere politico ampliato, anche oltre la semplice somma dei due incarichi, che proietta questi doppi sindaci verso il protagonismo nella futura scena politica nazionale.
Il documento con le linee di indirizzo per l’avvio del procedimento del nuovo PGT (Piano di Governo del Territorio) del Comune di Milano ha contenuti generici (1), e mancano indicazioni su alcuni dei temi oggi più caldi, come le aree degli scali ferroviari, l’edilizia sociale, l’inquinamento atmosferico, o inquietanti, come la scalata di ferrovie al metrò M5 o il rinnovato interesse dell’Amministrazione per la riapertura dei Navigli. Se nel documento poco si dice sulle questioni locali, praticamente assenti sono quelle sovracomunali.
A monte si dovrebbe, secondo logica, prima fare il piano della Città metropolitana, fissando obiettivi, riferimenti e azioni prioritarie sugli aspetti di area vasta, e solo dopo i PGT dei comuni (il piano strategico approvato la scorsa primavera non ha alcuna funzione utile a tale fine). Per contare nel sistema decisionale transfrontaliero e transcontinentale, che si sta formando tra le grandi città del mondo bisogna entrarci con il sistema metropolitano tutto, non con il solo comune capoluogo. Ma bisogna prima pensare a ristabilire condizioni dialettiche, tra due istituzioni, il capoluogo e la città metropolitana, che dovrebbero collaborare pur restando autonome, svolgendo ognuna in modo indipendente le funzioni che le sono proprie. Pensare ad un’unica struttura che sviluppa sia il PGT del Comune capoluogo sia il PTM metropolitano, che ovviamente sarebbe in capo e controllata dal Comune (come ci insegna l’esperienza del Piano strategico dell’anno scorso), rischia di aggravare il cortocircuito istituzionale, già creato dal doppio incarico di Sindaco sulla stessa persona, confondendo le funzioni comunali dell’urbanistica con le funzioni sovracomunali di pianificazione della Città metropolitana. Le decisioni sugli aspetti di area vasta, di competenza dell’ente intermedio secondo la legge, devono essere prese da un organismo indipendente, autonomo rispetto agli interessi locali.
L’iniziativa del comune capoluogo non è di per se stessa un male, anzi. I problemi sono casomai generati dal doppio incarico imposto per legge. In alcune Province il Sindaco del Comune capoluogo è anche Presidente, ma è una scelta dei comuni, ed è revocabile. Quindi più facilmente negli organi provinciali possono mettersi in moto meccanismi di compensazione o correzione in caso il comune più grande mostri tentazioni egemoniche. In mancanza di organi politici eletti direttamente, che prima rappresentavano i cittadini dell’intera provincia, sono oggi le città capoluogo i quasi unici soggetti ad avere la forza politica e tecnica per promuovere iniziative aggregative all’interno degli organi provinciali.
A Milano si è invece stabilito con legge che l’incompatibilità tra cariche non esiste, qualunque cosa accada. Ma non è l’unico problema, a Milano non solo il capoluogo, ma la stessa Città metropolitana è molto più piccola, almeno in termini di superficie, del sistema metropolitano reale, che si estende fino ad includere polarità urbane e parti consistenti delle province confinanti, anche quella di Novara che si trova in Piemonte. Neppure il PTM sarebbe dunque luogo adeguato (figuriamoci dunque il PGT !) da cui partire per definire il futuro del sistema metropolitano, del quale il capoluogo Milano è motore e indiscusso riferimento nelle relazioni nazionali e internazionali, ma con il quale Milano è anche inestricabilmente connessa, tanto da non potere sopravvivere come soggetto internazionale senza il supporto dei territori con i quali vive in simbiosi (2).
Di tutto questo non si trova riscontro nel documento di linee guida. Da nessuna parte si parla del sistema metropolitano reale, forse anche perché il doppio sindaco non può su quest’ultimo esercitare il potere assoluto che invece gli compete sulla Città metropolitana. E quindi di questo il documento semplicemente non fa cenno, dimenticando che è stata l’OCSE, non un organismo qualunque, ad evidenziare già nel 2006 che il sistema metropolitano è molto più esteso dei confini della vecchia provincia.
L’avviso di avvio del procedimento e le allegate linee guida seguono un’impostazione generica e minimale nei contenuti, adempiendo secondo lo stretto necessario a quanto previsto da una legge regionale che vede l’avvio del procedimento e la relativa consultazione come un mero provvedimento amministrativo senza coglierne, o volutamente ignorando, le potenzialità di coinvolgimento dei cittadini. La legge non chiede nulla in più di quello che Milano ha fatto, ma uno sforzo in più ci poteva stare visto che si tratta del primo importante atto di pianificazione successivo alla storica istituzione della Città metropolitana a gennaio 2015. Si poteva anche essere un po’ più innovativi nel metodo, oltre che un po’ meno avari nei contenuti. Le linee guida potevano essere basate su un serio rapporto di monitoraggio del PGT in vigore. Il monitoraggio è obbligatorio per legge, ed era stato programmato nella VAS del PGT vigente. Con i dati del monitoraggio si sarebbe potuto costruire un rapporto per rendere conto sull’evoluzione del territorio e dell’ambiente, sullo stato di attuazione degli obiettivi del PGT vigente, sulla verifica di efficacia delle strategie del piano approvato nel 2012. Tutte informazioni che sarebbero state preziose per coinvolgere su questioni concrete, non su dichiarazioni retoriche, i rappresentanti degli interessi organizzati, i cittadini tutti, per valutare cosa ha funzionato e cosa no dell’esperienza precedente e proporre misure correttive.
Tornando alla discrasia tra Sistema metropolitano e Città metropolitana è evidente che prima del PGT, ma anche del PTM, bisognerebbe pensare a modalità e strumenti di governance che includano nelle scelte di grande scala le polarità urbane che sono esterne alla Città metropolitana ma interne al Sistema metropolitano. Una governance del sistema metropolitano che potrebbe magari essere promossa unitamente dal doppio Sindaco con la Regione, che si farebbe carico di garantire la partecipazione delle polarità urbane delle province confinanti, e potrebbe per Novara collegarsi con la Regione Piemonte. Potrebbe essere un modo per ricostituire, non solo in via teorica, quella dialettica tra funzioni comunali e sovracomunali, tra pianificazione urbanistica e di area vasta, che è necessaria per creare le condizioni di autonomia rispetto agli interessi locali. Per passare dalla teoria all’operatività bisognerebbe capire se la Regione sia in grado di assumere un ruolo di coordinamento territoriale, funzione che ad oggi non ha mai svolto, a parte qualche tentativo ancora acerbo e preliminare nei piani territoriali regionali d’area e nella variante del PTR attualmente in discussione in Consiglio. Ma questo è un altro discorso, che lo spazio di questo intervento non consente di affrontare (3).
Note
(1) Come bene evidenzia Pierluigi Roccatagliata nel suo intervento su Arcipelago Milano del 22 marzo 2017, a commento delle linee guida che il Comune di Milano ha pubblicato per la consultazione formale di avvio del procedimento che si conclude il 31 marzo.
(2) Sulla discrepanza tra dimensione amministrativa e dimensione reale dei sistemi metropolitani vedere anche l’intervento dell’autore su Millennio Urbano del 4.11.2016 e nello specifico del caso Milanese gli interventi sempre dell’autore su Arcipelago Milano del 14.9.2016 e del 11.5.2016
(3) Il tema dell’adeguatezza del livello regionale nella funzione di coordinamento territoriale è trattato in un intervento dell’autore su Millennio Urbano del 14.04.2015.