di Francesco Gastaldi
La crisi economica sta avendo effetti indubbi sui processi di trasformazione urbana e in Italia non sono rari i casi di grandi progetti rinviati o decaduti per difficoltà degli operatori proponenti o, nel caso di opere pubbliche, per problemi di bilancio delle amministrazioni locali. L’economia italiana sta attraversando la peggiore recessione, per intensità e durata, dal dopoguerra, una situazione che potrebbe annullare il ruolo di propulsore delle trasformazioni urbane giocato dalle archistar, o quantomeno ridurlo notevolmente.
Molto spesso utilizzata in progetti ambiziosi, a partire dai primi anni Novanta la presenza degli architetti di fama nei progetti di trasformazione urbana non si è limita al disegno architettonico, ma ha assunto una grande rilevanza, talvolta perfino nell’ambito di strategie di rilancio o di ridefinizione dell’immagine complessiva di un sistema urbano.
L’ archistar è un professionista di fama mondiale con studi in diversi paesi del mondo e fatturati molto rilevanti, l’enorme successo di queste figure è particolarmente legato a una notorietà già esistente e alla capacità di saper presentare soluzioni progettuali molto attrattive e veicolabili all’interno di mezzi di comunicazione e/o riviste specializzate.
Solo per fare alcuni esempi. A Torino il grattacielo di San Paolo-Intesa progettato da Renzo Piano è da poco tempo realtà, mentre è stato dibattuto per anni (ma anch’esso in corso di realizzazione) quello per la nuova sede della Regione Piemonte di Massimiliano Fuksas. A Salerno il sindaco De Luca da anni dedica gran parte della propria azione amministrativa e credibilità politica intorno al progetto di waterfront che vede coinvolte numerosi architetti già artefici della rinascita di Barcellona.
Per circa due decenni, la dimensione degli interventi (spesso aree industriali dismesse e da riqualificare), i soggetti coinvolti (spesso grandi gruppi imprenditoriali o finanziari, aziende con brand internazionali o del Made in Italy), le aree centrali o a forte valenza simbolica interessate dai progetti e il battage mediatico sulle operazioni hanno decretato il grande successo delle archistar, soprattutto sul piano simbolico.
Alcune domande sono tuttavia sorte sul loro ruolo nell’ambito dei processi di trasformazione urbana: accelerano le procedure burocratiche? Attirano finanziamenti per la realizzazione dei progetti? Provocano un aumento dei valori immobiliari? Creano legittimazione nell’opinione pubblica e affidabilità per operazioni che altrimenti non lo avrebbero? Attraverso quali canali arrivano nel nostro paese, considerato che i concorsi di architettura non sono così frequenti?
A prima vista si sarebbe portati a dire che la figura dell’archistar abbia riscosso un notevole successo tra le amministrazioni comunali dei più diversi colori politici e fra i più eterogenei soggetti imprenditoriali per il fatto di saper presentare, al momento giusto, progetti eclatanti, di (presunta) qualità architettonica e capaci di attrarre investitori privati accelerando il processo di realizzazione. Le cose stanno veramente così?
In realtà i progetti delle archistar variamente discussi o presentati sono molti, ma quelli che si realizzano sono in numero molto ridotto e quando ciò avviene, il progetto risulta poi molto diverso rispetto a come era stato inizialmente impostato. Talvolta accade perfino che il grande nome dello star system internazionale non sia più presente e il progetto sia affidato a un professionista locale.L’ archistar è abile ad alimentare e a stimolare i dibattiti anche quando il processo si blocca (spesso per cambio di colore politico delle amministrazioni coinvolte e opposizioni locali) o si trasforma: basta una semplice intervista giornalistica e il processo si riapre.
Se in una prima fase si credeva che l’ archistar potesse velocizzare tempi e prassi burocratiche, numerose evidenze empiriche di ciò che è accaduto in numerose città italiane sembrano dimostrare il contrario. La crisi, le difficoltà economiche di molti operatori e la stasi del mercato immobiliare hanno accelerato tendenze già in atto. I primi anni Duemila hanno segnato, anche in Italia, una diffusione “epidemica” di progetti di archistar, ma oggi si può verificare come molti siano rimasti sulla carta, solo alcuni si sono realizzati (quasi sempre con costi molto più alti rispetto alle previsioni) e molto spesso polemiche molto accese si siano manifestate.
È il caso, ad esempio, del Centro Congressi Italia di Roma. Dopo aver indetto un concorso internazionale da parte del Comune di Roma e della società Eur s.p.a. nel 1998, la giuria, presieduta da Norman Foster, ha proclamato nel 2000 vincitore Massimiliano Fuksas. Il complesso, articolato in tre organismi distinti (la parte interrata che comprende le sale minori, le sale meeting, i servizi annessi e un parcheggio; la “Teca” che ospita la cosiddetta “Nuvola”, l’auditorium e la “Lama”, un hotel di lusso di 441 stanze), a dicembre 2014 era completato al 76%, dopo un aumento vertiginoso dei costi. Servirebbero ancora 100 milioni di Euro per terminare l’opera. A tutto ciò si aggiunge la diatriba tra la società Eur spa e Fuksas riguardo alle responsabilità relative ai ritardi dovuti alle varianti volute dall’ archistar ( ritardi nella realizzazione della Nuvola che non hanno consentito all’Ente Eur la vendita dell’hotel che avrebbe dovuto risanare le casse della società, oggi a rischio fallimento). Un caso emblematico quello del Centro Congressi di Roma, che forse dovrebbe far riflettere sulle molte delle aspettative riposte da soggetti pubblici e privati sul ruolo di facilitatori di grandi operazioni di trasformazione urbana – molto più presunto che reale – che gli architetti a forte esposizione mediatica dovrebbero esercitare.