Cosa qualifica meglio una città? Le sue architetture evocative, le occasioni culturali e di incontro, il tipo di ristoranti in cui mangiare o la qualità del suo spazio pubblico o quella delle sue scuole dei servizi di base, il trasporto pubblico e l’accessibilità al mercato immobiliare? La dichiarazione della senatrice democratica dello stato di New York, Kirsten Gillibrand , che ha definito Arlington (Virginia) un “sobborgo senza anima”, ha offeso gli abitanti di questo settore dell’area metropolitana di Washington DC che ospita numerose sedi di dipartimento federali (tra le quali il Pentagono), ma ha avuto senz’altro il merito di innescare un’interessante discussione sui criteri con i quali valutare l’attrattività delle aree urbane.
Ben Adler sul Washington Post ha sostenuto la validità delle affermazioni di Gillibrand: Arlington appare senza anima perché tutti quegli uffici, alberghi, edifici ad appartamenti sono anonimi, privi di personalità, non invitano a frequentare le strade. Sono privi di qualunque stile. E cosa più importante non hanno alcun rapporto con la via. Spesso vengono arretrati dietro a piazze mal concepite, l’entrata su un lato per facilitare l’ingresso delle auto. In questi edifici le attività vengono nascoste ai piani inferiori, chi lavora negli uffici è tenuto lontano dalle vie, e anche i pedoni vengono come risucchiati via. Non c’è molto da passeggiare a Arlington, fermarsi a guardare qualcosa o leggere un menu in vetrina. Non c’è nessun posto dove andare a piedi, niente e nessuno da incontrare. E tante altre attività cacciate in qualche baracca in fondo a grandi parcheggi, tutto progettato al servizio dell’automobile, non delle necessità fisiche umane. Cosa che si vede anche nelle case di Arlington, tutte nascoste dietro al loro prato, al viale d’accesso, al garage.
La banalità di Arlington sta nella mancanza di uno spazio pubblico centrale, non importa se sia una piazza o un parco, un posto dove le persone possano convergere per i più disparati motivi. Ma per Adler la cosa ancora più importante è progettare la città in modo da stabilire un rapporto tra il suo lo spazio fisico e chi lo attraversa.
Un approccio opposto a quello che emerge da un recente articolo di Aaron M. Renn sul Guardian, nel quale l’autore si chiede perchè i noiosi sobborgi rappresentino comunque il 72 percento della crescita della popolazione nelle grandi aree urbane degli Stati Uniti dal 2010. I sofisticati abitanti delle città – sostiene Renn – tendono a guardare dall’alto in basso gran parte della vita suburbana. Ma ho il sospetto che molti abitanti dei sobborghi trovino l’ossessione di molti centri urbani – per l’arte contemporanea, ad esempio, o per i modi elaborati di preparare il caffè – altrettanto noiosa . Perché il loro pollice verso sulla pretenziosità urbana è altrettanto valido ?
Amare la pedonabilità , la varietà e la capacità di rinnovarsi dei centri urbani non giustificherebbe quindi l’intolleranza verso chi non condivide gli stessi gusti e d’altra parte non si dovrebbe incolpare Arlington di essere ancorata alla cultura dell’automobile, visto che – nota anche Adler – molto più della media delle aree urbane sono notevoli gli sforzi per potenziare del trasporto pubblico. Non per forza nelle discussioni di urbanistica le preferenze devono coincidere con quelle degli hipster – conclude Renn – alludendo al fatto che questa categoria di persone che è notoriamente bianca, mentre nelle aree suburbane la percentuale di popolazione non bianca è in continua crescita.
Le ragioni del perdurante successo delle città noiose, tra le quali il sindaco di Rio de Janeiro – molto discusso per il modo favorevole agli interessi degli operatori immobiliati con il quale sta trasformando la sua città – ha catalogato Zurigo, sono buoni servizi di base e prezzi ragionevoli delle abitazioni. In altri termini, le parti nosiose delle città sono importanti quanto quelle attraenti.
Riferimenti
B. Adler, Kirsten Gillibrand shouldn’t apologize. Arlington really is ‘soulless.’ The Washington Post, 10 settembre 2014.
A. M. Renn, In praise of boring cities, The Guardian, 1 ottobre 2014.