E’ un grave errore dare per morto il suburbio e la cultura che ne ha sostenuto lo sviluppo. Così si può riassumere al meglio il senso di un’operazione editoriale che si propone di essere, da un lato, rassegna di come l’idea di città giardino sia stata applicata nello sviluppo suburbano di mezzo mondo, e dall’altro riproposizione della ricetta per le trasformazioni delle città contemporanee.
Robert A. Stern, preside della Scuola di Architettura di Yale e sostenitore anti-archistar del design tradizionale, è autore di molti libri voluminosi, e il suo monumentale Paradise Planned. The Garden Suburb and the Modern City è una celebrazione dell’urbanistica del XIX secolo con la quale intende dimostrare che essa ha ancora molte utili lezioni da impartire.
La città giardino ideale – quella pensata da l’ex verbalizzatore delle sedute del parlamento inglese Ebenezer Howard in Garden Cities of To-morrow – è un insediamento a metà tra città e campagna per 30.000 abitanti con tipologie abitative diversificate secondo il reddito. Un’utopia scientificamente fondata, progettata per essere ripetibile, e valutata secondo solidi parametri.
Franklin D. Roosvelt pensava che fosse un’idea eccellente e infatti la versione statunitense più conosciuta del modello originale è Greenbelt nel Maryland, progettata da Guy Rexford Tugwell come una delle iniziative per costruire alloggi a prezzi accessibili avviate con il New Deal. Si può riconoscere il tipico layout di questo schema di base – una piazza centrale che ospita le istituzioni civiche sulla quale s’innestano i viali che conducono all’esterno della città – a Canberra, in Australia, e più recentemente, nella comunità New Urbanism di Seaside in Florida.
Il libro di Stern è un repertorio di 1.000 mille esempi analoghi sparsi in 25 paesi del mondo. Il suggerimento sembra essere: questo modello insediativo ha dimostrato di funzionare abbastanza bene. La sua missione sembra quindi essere la salvaguardia di una gloriosa tradizione urbanistica, ma a ben vedere Paradise Planned contiene anche molti suggerimenti per intervenire sulle città contemporanee e per risolverne i problemi.
Situazioni disastrose come quella di Detroit, dove numerosi sono i lotti vuoti o dismessi, possono fornire ottimi spunti per riprogettare le infrastrutture e le reti sulle quale simili città sono state costruite. Non si tratta di calare ricette dall’alto, sostiene Stern, riferendosi implicitamente alle critiche di Jane Jacobs – ritenuta però “troppo sbrigativa” – ma di valutare con attenzione il ruolo delle espansioni suburbane nelllo sviluppo di quelle città. In fondo. secondo Stern, i suburbio è come il colesterolo c’è quello buono e c’è quello cattivo: è una questione di dosaggio.
D’altra parte molte metropoli in piena espansione demografica, come San Francisco, New York, Londra e Parigi, sono diventate economicamente insostenibili soprattutto per la classe media, quella che storicamente si è affidata all’architettura neotradizionale delle espansioni suburbane per sentirsi a casa e parte di una comunità . Al di là delle critiche al linguaggio architettonico contemporaneo, dal Movimento Moderno alle archistar di moda, la campagna di opinione di Stern ha quindi ottenuto un certo riscontro negli Stati Uniti perché basata su di una piattaforma contraria a quelle corrente.
Meglio non dare per morto il suburbio, sostiene Stern, dato che il tema della rivitalizzazione delle aree centrali è già stato abbastanza esplorato e che, tutto sommato, ciò che ha prodotto è un crescente divario tra i pochi che possono permettersi un lussuoso appartamento centrale e i molti che vengono sospinti sempre più all’esterno delle aree urbane dall’innalzamento dei valori immobiliari. Anche se la preoccupazione di Stern non è certo l’equità urbane, è difficile, a questo riguardo, dargli torto.
Riferimenti
A. Flint, Why the ‘Garden City’ Is Making an Unlikely Comeback, The Atlantic Citylab, 28 maggio 2014