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Oltre l’invenzione di Milano

Parte seconda

Nelle considerazioni sui contenuti del libro “L’invenzione di Milano” di Lucia Tozzi qui pubblicate, sono stati evidenziati due fattori centrali per riportare l’attenzione sulla città pubblica: la pianificazione urbanistica-territoriale e la dimensione metropolitana di Milano. Della pianificazione si è parlato nella prima parte, in questa seconda parte si affronta il fattore dimensionale.

Cogliere correttamente la scala dimensionale dei problemi urbani e territoriali è prerequisito necessario per vedere, anzi prevedere, gli effetti delle azioni previste nei piani. Se si concentra l’attenzione sul particolare si rischia di perdere la visione di insieme, come argomentato nella prima parte.

La norma regionale lombarda prevede che nel Piano di Governo del Territorio il Piano delle Regole si occupi della città consolidata, costruita, mentre il Documento di Piano, dove si definiscono le strategie generali, raccorda la scala urbana con quella territoriale.

Gli interventi di rigenerazione urbana rientrano dunque nella competenza del Piano delle Regole, il quale deve regolarli tenendo conto degli impatti sulla città consolidata. Alcuni interventi di rigenerazione potrebbero se presi singolarmente avere effetti contenuti o insignificanti in rapporto alla scala urbana, e il piano può anche disporre, in una logica di snellezza delle procedure, che il singolo intervento sia assentito con forme di autocertificazione come la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Tuttavia la soglia al di sotto della quale consentire queste semplificazioni va scelta con cura. Il Piano delle Regole non deve mai perdere di vista i potenziali effetti di insieme. Trascurare gli impatti del singolo intervento, attraverso formule di autocertificazione, può portare a non vedere per tempo importanti effetti cumulativi di tanti interventi alla scala urbana, in termini per esempio di carico insediativo aggiuntivo sui servizi, sul traffico e sul trasporto pubblico, sull’inquinamento dell’aria e dell’acqua, sull’impermeabilizzazione, sull’incremento dell’effetto isola di calore. Inoltre gli interventi sulla città consolidata possono, nel loro complesso, comportare effetti a scala non solo urbana, ma anche territoriale e richiedere di essere trattati nel Documento di Piano.

Milano, a differenza di altre aree urbane, non è una città, ma un’area metropolitana. Non basta il Documento di Piano per rapportare le politiche urbane con quelle territoriali. Ci vuole uno strumento che sia in grado di vedere l’area metropolitana nel suo complesso, e di mettere in collegamento tutte le sue parti.

Le decisioni sul territorio, per essere efficaci, devono essere prese alla scala dimensionale nella quale le questioni si presentano, e a Milano la scala non può che essere quella metropolitana. Mentre nel territorio di una provincia le aree urbane sono relativamente, anche se non del tutto, tra loro distanti e indipendenti, in un’area metropolitana la densità di reciproche interazioni è molto più elevata, e configura un sistema unico e organico. Quanto accade in una sua parte ha ricadute sul sistema nel suo complesso e quindi su tutte le altre parti, anche le più distanti. Concentrarsi sul solo capoluogo non consente di vedere l’insieme e di cogliere le dinamiche territoriali, perché la dimensione nella quale si manifestano è molto più ampia.

Entro i confini amministrativi della Città metropolitana istituita nel 2015 vivono oggi circa 3.250.000 abitanti, mentre nel capoluogo sono 1.370.000. Tuttavia l’area metropolitana reale si estende molto oltre i confini amministrativi e arriva a comprendere anche i territori della Provincia di Monza e Brianza, della conurbazione lungo l’asse del Sempione fino a Malpensa e di altre parti significative delle provincie confinanti, compresa Novara in Piemonte; un territorio dove vivono complessivamente oltre 6 milioni di abitanti. Questa è la scala dimensionale alla quale si dovrebbe ragionare per cogliere le relazioni che fanno funzionare l’area metropolitana milanese.

Coloro che non possono pagare gli elevati prezzi immobiliari di Milano devono spostare la residenza negli altri comuni. Ogni giorno arrivano dall’area metropolitana a Milano più di mezzo milione di pendolari. Senza il loro contributo, sia operativo che di idee, la città non potrebbe funzionare. Le modalità con cui si spostano (mezzo pubblico o privato, tempi, costi e condizioni del viaggio) dovrebbe interessare a Milano. Molti di loro devono viaggiare in auto, contribuendo all’inquinamento atmosferico, a causa di uno sviluppo abitativo caotico e dispersivo nei comuni attorno, scollegato dalle strategie di potenziamento del trasporto pubblico.

Anche i servizi da garantire a chi si trasferisce negli altri comuni dovrebbero essere tema di grande interesse per il capoluogo. Invece le risorse vengono drenate dal fiorente mercato immobiliare di quest’ultimo e non ne rimangono per gli investimenti degli altri comuni. I sindaci, per raccogliere qualche risorsa, sono costretti ad accettare la localizzazione di grandi insediamenti di logistica e nuovi centri commerciali sul suolo agricolo. Questi ultimi contribuiscono alla scomparsa dei negozi di vicinato e al progressivo degrado dei centri urbani e storici che un tempo costituivano elemento qualificante del vivere in uno dei comuni metropolitani.

Le logistiche portano più transiti di mezzi pesanti sulle strade con conseguente congestione della rete viaria e incremento delle emissioni inquinanti, che diffondono su tutto il territorio, capoluogo compreso, vanificando le misure prese, tipo area C o area B, per tenere le auto fuori città. Le logistiche sono attività a basso valore aggiunto, con la loro crescita esponenziale costringono a delocalizzare verso altre province e regioni le attività manifatturiere, con le relative competenze professionali, per le quali l’area milanese era un tempo riferimento a livello internazionale. L’impoverimento di capitale umano è un danno di lungo termine, che non si recupera facilmente una volta perso.

Nella dimensione territoriale metropolitana convivono anche i temi ambientali, molti dei quali richiedono una visione di area vasta, che va oltre i confini amministrativi comunali, per essere non solo affrontati ma anche compresi. Per l’inquinamento atmosferico i provvedimenti dei singoli comuni sono inefficaci se non vengono coordinati e assunti all’interno di un tavolo di coordinamento metropolitano, che per alcuni aspetti dovrebbe anche essere regionale e sovraregionale.

Le sempre più frequenti piene del Lambro a Milano richiedono un ragionamento coordinato sull’intera asta fluviale, tenendo conto dei territori e delle esigenze dei comuni che stanno a monte.

Si parla di piantumare milioni di alberi ma intanto vicino ai suoi confini meridionali Milano dismette e interra i canali della rete irrigua, che potrebbero invece contribuire a creare una cintura verde in coordinamento con le iniziative degli altri comuni del Parco Agricolo Sud. Per mitigare l’isola di calore e quindi i fenomeni atmosferici estremi bisogna realizzare corridoi verdi continui, che siano in grado di mettere in collegamento le diverse aree naturali e agricole del territorio metropolitano.

L’elencazione potrebbe continuare a lungo. Questi sono solo alcuni esempi dei temi che non possono essere compresi né affrontati restringendo la propria prospettiva entro i ristretti limiti amministrativi del capoluogo. Purtroppo chi abita a Milano non li conosce, non comprende che il destino dell’area metropolitana è anche quello del capoluogo. I Milanesi pensano di vivere in una bolla a sé, estranea al territorio circostante, che si rapporta unicamente con la rete delle grandi città internazionali. Senza peraltro accorgersi che tale rete è costituita da aree metropolitane non da capoluoghi, cosa che invece le altre grandi metropoli hanno compreso da tempo.

Così ragionando si rischia di fare la fine di Leonia, città immaginaria di Calvino (1) dove gli abitanti producono ogni giorno montagne di rifiuti che continuano ad accumulare nei territori attorno alla città, fino a quando i cumuli arrivano a tale altezza da franare rovinosamente e seppellire Leonia stessa con i suoi abitanti.

Le decisioni che prende Milano hanno effetti sugli altri comuni, e le decisioni che questi comuni prendono per sopravvivere manifestano i propri effetti anche su Milano. Le risorse disponibili dovrebbero essere distribuite equamente tra tutti i comuni, sulla base del ruolo che ciascuno svolge nel funzionamento dell’area metropolitana. Se il mercato immobiliare genera a Milano molte più risorse per residente una parte dovrebbe essere indirizzata alla realizzazione di servizi per i cittadini degli altri comuni, che non dimentichiamo con il loro lavoro contribuiscono ai successi internazionali del capoluogo.

Il Sindaco di Milano è anche Sindaco della Città metropolitana, come stabilito dalla Legge 56/2014 che ha istituito le città metropolitane. Sulla carta questo dovrebbe facilitare un governo del territorio coordinato tra il capoluogo e, almeno, i comuni che sono inclusi nei confini amministrativi della Città metropolitana. Se ci fosse la volontà, attraverso un tavolo interistituzionale il ragionamento potrebbe essere esteso anche alle province confinanti e ai loro capoluoghi.

Purtroppo questa opportunità viene vanificata dalla legge, che di fatto prevede che il Sindaco metropolitano sia scelto dai soli cittadini del capoluogo, ossia dal 40% di quelli che avrebbero diritto di rappresentanza, i residenti dei 133 comuni che fanno parte della Città metropolitana. Ma i cittadini del capoluogo non conoscono il territorio metropolitano e non immaginano gli stretti legami con Milano, pensando come già detto di vivere in una bolla extraterritoriale. Ne consegue che il Sindaco non è spinto a curarsi dei bisogni dei cittadini degli altri 132 comuni che fanno parte della Città metropolitana, dai quali non viene eletto. Può apparire cinico, ma è quello che è accaduto dal 2014 fino al presente, questa è la politica oggigiorno.  Non è certo lungimirante, visto che prima o poi i problemi verranno al pettine e anche i cittadini milanesi si renderanno conto che capoluogo e territorio metropolitano sono legati in modo inscindibile allo stesso destino.

Sarebbe tuttavia saggio non attendere di arrivare a tale punto, potrebbe essere troppo tardi. Si discute da tempo di modificare la Legge 56/2014 ma l’iniziativa legislativa procede con grande lentezza, nonostante la Corte costituzionale a fine 2021 (con la sentenza n 240/2021) abbia sollecitato il legislatore a intervenire per restituire nell’elezione del Sindaco metropolitano diritto di voto, o comunque rappresentanza, ai cittadini degli altri 132 comuni.

Bisogna percorrere strade alternative più rapide. Per esempio, se i cittadini del capoluogo fossero informati sui problemi del territorio metropolitano e coscienti delle ricadute e dei rischi che corre il capoluogo si adopererebbero per sollecitare il loro Sindaco a prendersene cura.

Bisogna tornare a fare pianificazione, rimettendo al centro dell’attenzione la città pubblica e il territorio come bene comune. Ragionando alla scala dimensionale giusta, che per una realtà come quella milanese non può che essere quella metropolitana. Per farlo, in attesa di una modifica che non arriva alla legge che regola l’individuazione del Sindaco metropolitano, si potrebbe partire con un’operazione di comunicazione finalizzata a fare conoscere ai Milanesi l’esistenza del territorio attorno al capoluogo, a sensibilizzarli sulle sue caratteristiche e sui suoi problemi, e sulla dimensione metropolitana di questi ultimi e della loro soluzione.

NOTE:

 (1) Dal libro di Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972.