Una versione più ampia dell’articolo è stato pubblicata da Arcipelago Milano il 9 dicembre 2020 con il titolo “Questione Città Metropolitana, questione di equità”.
Gli squilibri di risorse e opportunità tra le diverse zone che compongono la Città metropolitana sono un tema critico, dalla cui risoluzione dipende la possibilità del sistema metropolitano di funzionare in modo adeguato[1]. Questo tema è centrale nel nuovo Piano territoriale metropolitano (PTM) adottato dal Consiglio della Città metropolitana di Milano a luglio 2020.
Concentrare la maggioranza delle opportunità di lavoro nel capoluogo obbliga i pendolari provenienti dai comuni periferici a viaggi che ne limitano fortemente la disponibilità di tempo personale. A questa disparità il PTM risponde puntando a creare per ciascun comune uguali possibilità di accesso alla rete primaria di trasporto pubblico, attraverso interventi di miglioramento dell’offerta qualitativa e quantitativa di servizi di mobilità.
I servizi alla persona dovrebbero essere localizzati secondo una logica di maggiore prossimità possibile agli utilizzatori dei servizi stessi. Esistono servizi di scala comunale, sovracomunale e metropolitana. I primi sono erogati dal singolo comune verso i propri cittadini. Quelli sovracomunali sono localizzati in un comune polo e servono un bacino di utenti di riferimento di area vasta (esempi tipici sono le scuole superiori e i servizi sanitari territoriali). I servizi e le funzioni di rilevanza metropolitana caratterizzano l’area metropolitana a livello sovraregionale, nazionale e internazionale e sono in generale localizzati nel capoluogo o comuni di prima cintura (ad esempio: polo fieristico Rho-Pero, università, aeroporto Linate, Teatro La Scala, centro direzionale Garibaldi-Repubblica, Pinacoteca di Brera e altri musei, Forum Assago, ecc.). In realtà i servizi sovracomunali localizzati nel capoluogo servono non solo i comuni di cintura ma anche gli abitanti dei comuni più distanti, laddove questi non ne trovino di più prossimi. Questo è irrazionale, i servizi sovracomunali dovrebbero essere localizzati nei poli urbani più vicini agli utenti, seguendo una logica policentrica. In questo modo si contribuisce a decongestionare il traffico nel capoluogo, ridurre la perdita di tempo personale negli spostamenti, e soprattutto creare opportunità per valorizzare le polarità urbane e i comuni più distanti dal capoluogo. La probabile stabilizzazione di una parte del lavoro in modalità remota successivamente al termine della pandemia potrebbe essere determinante nello spingere verso questa direzione.
I bilanci dei comuni periferici soffrono più di quelli centrali per la carenza di opportunità produttive, e questo si traduce in un’offerta quantitativa e qualitativa di servizi più contenuta. Nel capoluogo e nei comuni di cintura il mercato immobiliare è comunque attivo, anche in anni di crisi, e molte grandi aree dismesse sono in fase di recupero e riuso. Diversa è la situazione nei comuni più distanti dove esistono comunque grandi aree dismesse, ma le opportunità di riuso scarseggiano, e rimangono inutilizzate. Inoltre nei comuni più piccoli le aree industriali dismesse sono spesso localizzate a ridosso del centro storico, accelerandone il progressivo degrado e abbandono conseguente alla chiusura degli esercizi commerciali tradizionali, che in mancanza di azioni di supporto delle amministrazioni locali non sono in grado di competere con la grande distribuzione.
Per fare fronte alla carenza di risorse i comuni periferici sono costretti ad accettare la diffusione incontrollata della logistica, unica attività produttiva per la quale esiste oggi una domanda insediativa crescente. Ma questi insediamenti portano traffico e inquinamento a fronte di uno scarso indotto occupazionale. Sono inoltre difficili da localizzare nelle aree dismesse e finiscono per incrementare il consumo di suolo.
Questo forte squilibrio nella disponibilità di risorse economiche derivanti da oneri di urbanizzazione, contributi di costruzione, imposte sulla proprietà, non può essere ignorato dai più ricchi e fortunati comuni capoluogo e di prima cintura. Non è solo una questione di solidarietà. La sofferenza di una parte del territorio frena le possibilità di sviluppo del complesso del sistema metropolitano, in una situazione in cui le parti componenti del sistema sono strettamente tra loro interrelate e tutte indispensabili al suo funzionamento.
Milano ha bisogno dei circa 400.000 pendolari entranti ogni giorno per lavoro (dato ISTAT al 2011), senza le quali competenze professionali le attività terziarie si fermerebbero e Milano non potrebbe esercitare alcun ruolo a livello europeo e mondiale. Allo stesso tempo il capoluogo, con le proprie capacità di governo e di rappresentanza, sviluppa un effetto di traino del quale tutto il territorio metropolitano si avvantaggia. Dunque tutti i comuni, dal capoluogo al più piccolo e distante, vivono in stretta simbiosi una situazione di comunanza di obiettivi e di destino. Se si vuole che il tutto funzioni al meglio come sistema, perseguendo risultati più ampi della mera somma delle parti, è opportuno provvedere a una più equilibrata distribuzione tra tutti i comuni delle risorse economiche a disposizione. Il nuovo PTM introduce a tale fine una serie di strumenti di perequazione alla scala metropolitana che puntano a realizzare interventi pubblici di sostegno nei comuni periferici utilizzando una parte dei proventi economici generati dal mercato immobiliare nei più fortunati comuni centrali.
[1] In questo scritto ho fatto riferimento ai tre nodi della questione metropolitana introdotti da Giancarlo Consonni nell’articolo “Città e metropoli. Lo scenario ridisegnato dalla pandemia”, ArcipelagoMilano, 1 novembre 2020.