La terra continua a tremare in Nepal e il numero delle vittime si avvicina alle 10.000 previste dalle autorità locali. Fino ad ora sono circa 7.500 i corpi senza vita estratti dalle macerie, in buona parte concentrati nella capitale e della sua regione urbana, dove inizialmente si sono concentrati i soccorsi. La Kathmandu valley aveva ufficialmente due milioni e mezzo di abitanti nel 2011, ma essi potrebbero ora essere addirittura quattro se si considera la rapidissima crescita demografica, la quantità di residenti non censiti che abitano negli slum ed il progredire dell’urbanizzazione dei territori rurali nei distretti limitrofi.
La città contemporanea nasce dalla fusione delle aree urbane di tre distretti della regione del fiume Bagmati Lalitpur, di Bhaktapur e Kathmandu. Qui è conservata buona parte del patrimonio culturale riconosciuto dall’Unesco che, insieme all’escursionismo sull’Himalaya, e alla base dell’industria turistica nazionale. La valle di Kathmandu, quella sorta di catino scavato dal fiume dentro il quale si è sviluppata l’odierna metropoli, con la sua economia molto influenzata dai flussi turistici è diventata un polo di attrazione per la popolazione povera proveniente dalle zone rurali circostanti. Al suo interno negli ultimi due decenni la densità demografica è mediamente raddoppiata, raggiungendo un più 158% nel distretto di Kathmandu e superando i 20.000 abitanti per chilometro quadrato nella sua area centrale. In questa situazione l’incremento demografico ha reso di fatto urbani anche i villaggi che si arrampicano sulle pendici dei rilievi montuosi che circondano la zona pianeggiante più densamente abitata: in questi insediamenti, ancora classificati come rurali, la densità di popolazione mediamente supera i 1000 abitanti per chilometro quadrato.
Il tasso di crescita della popolazione nella valle di Kathmandu è il più alto di tutta l’Asia meridionale: più 127% negli ultimi vent’anni. Il risultato è che 1,4 milioni di nuovi abitanti si sono aggiunti a quelli esistenti senza nessuna pianificazione e, conseguentemente, senza che la rete infrastrutturale della metropoli fosse in grado di supportarli. Questo abnorme sviluppo urbano è avvenuto in assenza di un sistema fognario adeguato e di una rete stradale idonea a supportare l’incremento di densità di persone e di edifici. Le costruzioni sono addossate le une alle altre ed anche quelle più recenti, apparentemente di migliore qualità, insistono su di un tessuto edilizio compromesso da decenni di edificazione che non rispetta nemmeno il rapporto minimo tra altezza degli edifici e larghezza delle strade.
L’associazione nepalese degli ingegneri ha stimato – tramite una ricognizione fatta su di un campione di 2.500 costruzioni – che un quinto del patrimonio immobiliare della capitale è stato distrutto dal terremoto e che per tre quarti esso necessiti di riparazioni prima di essere reso abitabile: si tratta con ogni evidenza degli effetti di una urbanizzazione senza regole innescati dal sisma. Il rischio che la ricostruzione segua lo stesso caotico processo da cui discende la Kathmandu contemporanea fa paventare che qualcosa di simile a ciò che è accaduto nella capitale haitiana Port-au-Prince – dove gran parte delle macerie ingombrano ancora le strade a distanza di cinque anni dal terremoto che l’ha distrutta – possa verificarsi anche lì. Se questo fosse lo scenario c’è da temere che le già molto precarie condizioni di igiene pubblica della valle di Kathmandu, dove i corsi d’acqua sono fogne a cielo aperto e non esiste un sistema di smaltimento dei rifiuti, possano diventare una seria minaccia per la salute della popolazione, in particolare se a ciò dovessero associarsi le difficoltà di approvvigionamento idrico già esistenti e peggiorate dalla distruzione del terremoto.
Una delle prime reazioni degli abitanti di Kathmandu e che in circa 300.000 hanno cercato con tutti i mezzi di raggiungere i distretti meno colpiti dal sisma. Potrebbe trattarsi di una sorta di controesodo di coloro che nella capitale erano venuti a cercare condizioni di vita migliori ed ora, avendole perse, ritornano da dove erano partiti. L’unica speranza per chi resta è che la ricostruzione della metropoli ai piedi dell’Himalaya sappia tenere conto del fatto che essa si trova in una delle regioni più sismiche al mondo e sappia porsi qualche domanda sulle cause di uno sregolato sviluppo urbano che l’ha esposta ai peggiori effetti del terremoto.
Riferimenti
Central Bureau of Statistics, Population Monograph of Nepal, 2014.
J. Burke, I. Raunyar, Most buildings in Kathmandu deemed uninhabitable or unsafe following quake, The Guardian, 3 maggio 2015.
R. Cross, Nepal earthquake: a disaster that shows quakes don’t kill people, buildings do, The Guardian, 30 aprile 2015.